mercoledì 25 marzo 2015

La boutique del mistero

 


“La Boutique del mistero” nasce dall’intento dell’autore di far conoscere il meglio della propria produzione ed ha come tematiche l’angoscia, la paura, il destino incombente, la sconfitta, la morte, il sogno, il ricordo; tutto ciò è avvolto dal mistero e dal surreale, sempre presenti dietro a situazioni o cose quotidiane, in apparenza banali. Buzzati utilizza parole del linguaggio parlato, quotidiane, mai artificiose, dimostrando che per suscitare inquietudine, stupore o suspence nel lettore non è necessario utilizzare uno stile complesso e inusuale.
In “Eppure battono alla porta”, “I topi”, “Qualcosa era successo” e “Il colombre” Buzzati mostra l’attaccamento dell’uomo alla propria condizione e alla propria reputazione e la paura di cambiare, di affrontare i problemi, i pregiudizi e i pericoli. Nel primo racconto, una famiglia benestante, nonostante il fiume sia sul punto di straripare, rimane fino all’ultimo momento nella grande villa lussuosa; soprattutto Maria Gron, la moglie, tenta di nascondere la paura dietro la sua faccia imperturbabile e sempre sorridente, sforzandosi di credere che niente di male potrà accadere, anche se fin dall’inizio è evidente che nasconda qualcosa, che ha percepito un presagio inquietante; l’uomo non si rende conto che l’indifferenza non è capace di scacciare il pericolo o le difficoltà o ciò che gli è superiore, come il destino.
Ne “I topi”, la famiglia protagonista della vicenda finisce per diventare schiava di giganteschi topi, che nel corso degli anni hanno infestato la casa di campagna, poiché, per paura, non ha preso provvedimenti in tempo e ha cercato di rimandare il problema.
In “Qualcosa era successo” il protagonista, che viaggia su un treno ad alta velocità diretto verso il nord, vede attraverso il finestrino, in tutte le città che percorre, persone allarmate che gridano e scappano verso il sud, per una causa sconosciuta ai passeggeri. Il protagonista è certo che qualcosa di grave è accaduto e anche le altre persone sul treno lo pensano, nessuno però ha il coraggio di prendere la parola, di intervenire e cercano di mascherare la propria paura, temono il giudizio degli altri.
Il colombre” narra la storia di Stefano, figlio di un capitano di mare. Un giorno, in barca con il padre, intravede un colombre, uno squalo misterioso che, secondo la leggenda, sceglie una vittima e la insegue finché non è riuscito a divorarla. Il padre allora tenta in tutti modi di allontanarlo dal mare ma Stefano, diventato adulto, diventa marinaio, ossessionato dalla creatura; il suo unico pensiero è quello di sfuggirgli, ma quando raggiunge la vecchiaia, decide finalmente di affrontarlo: il mostro è in realtà una creatura buona, che l’ha seguito per tutti quegli anni non con l’intento di divorarlo ma di consegnarli un dono, la perla del mare, che dà fortuna, potenza e amore a chi la possiede. Il protagonista alla fine si rende conto di aver rovinato la propria esistenza, scappando per tutta la vita da un pericolo inesistente; soltanto troppo tardi ha deciso di affrontare le proprie paure senza più ignorarle e se si fosse comportato diversamente avrebbe potuto avere una vita felice e fortunata, proprio ciò che donava la perla del colombre.
In “Sette piani” e in “Una cosa che comincia per elle” emerge il tema della malattia, la quale rappresenta il destino ineluttabile che coinvolge l’uomo senza che questi abbia commesso alcuna colpa. Nel primo, il protagonista Giuseppe Corte si ricovera spontaneamente in una clinica specializzata nella cura della malattia da cui è affetto; i malati sono distribuiti a seconda della gravità su sette piani e Corte viene posizionato al settimo poiché la sua infezione è molto leggera. Purtroppo però, a causa di una serie di motivi burocratici, il malato scende progressivamente fino ad arrivare al primo piano, dove si trovano i moribondi: egli, che fini ad ora ha protestato e si è opposto a questa forza illogica, si abbandona e si lascia coinvolgere dalla situazione che, inspiegabilmente, lo porta alla morte. Sono presenti delle somiglianze con “Il deserto dei Tartari”: la clinica, come la fortezza Bastiani, rappresenta una barriera che separa l’uomo dal mondo reale e genera ossessione, la quale in Drogo si manifesta come un forte attaccamento all’ambiente della fortezza, mentre in Corte come un forte desiderio di ritornare alla vita di tutti i giorni (arrivato al sesto piano:Lo tormentava il pensiero che ormai ben due barriere si frapponevano fra lui e il mondo della gente normale”; arrivato al primo:Sei piani, sei terribili muraglie, sia pure per un errore formale, sovrastavano Giuseppe Corte con implacabile peso”).
In “Una cosa che comincia per elle”, il mercante Cristoforo Schroeder è accusato dal medico e dal sacerdote suo amico di aver contratto la lebbra; così viene privato di ogni avere e gettato sulla strada allo scherno pubblico e obbligato a suonare una campanella appesa al collo proprio come i lebbrosi. Anche qui la malattia diventa un elemento che crea l’assurdo e impedisce la libera scelta; in questo caso però la disgrazia non è soltanto provocata dalla fatalità ma anche dalla cattiveria umana (quella del medico e del sacerdote).
Ne “I sette messaggeri”, un principe, insieme ad alcuni compagni, parte alla ricerca del confine del regno del padre; l’illusione che il viaggio si risolva in poche settimane si rivela ben presto assurda, la meta si allontana sempre più e diventa irraggiungibile, ma nonostante ciò il protagonista continua ad andare avanti e trascorre tutta la vita in questa impresa inutile. Ritornano i temi dell’attesa, del rimpianto, della chiusura (il confine del regno) e della città, emblema di una vita facile e priva d’avventura; il protagonista non è capace però di staccarsi del tutto dal luogo natio poiché, anche se procede verso l’ignoto, spedisce ad ogni tappa del percorso i propri messaggeri verso la città; con il progressivo aumento delle distanze, il principe, ormai anziano, si rende conto che l’ultimo messaggero inviato ritornerà con la lettera quando probabilmente sarà già morto.  



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