La boutique del mistero
“La
Boutique del mistero” nasce dall’intento dell’autore di far conoscere il meglio
della propria produzione ed ha come tematiche l’angoscia, la paura, il destino
incombente, la sconfitta, la morte, il sogno, il ricordo; tutto ciò è avvolto
dal mistero e dal surreale, sempre presenti dietro a situazioni o cose
quotidiane, in apparenza banali. Buzzati utilizza parole del linguaggio
parlato, quotidiane, mai artificiose, dimostrando che per suscitare
inquietudine, stupore o suspence nel lettore non è necessario utilizzare uno
stile complesso e inusuale.
In
“Eppure battono alla porta”, “I topi”, “Qualcosa era successo” e “Il colombre”
Buzzati mostra l’attaccamento dell’uomo alla propria condizione e alla propria
reputazione e la paura di cambiare, di affrontare i problemi, i pregiudizi e i
pericoli. Nel primo racconto, una famiglia benestante, nonostante il fiume sia
sul punto di straripare, rimane fino all’ultimo momento nella grande villa
lussuosa; soprattutto Maria Gron, la moglie, tenta di nascondere la paura
dietro la sua faccia imperturbabile e sempre sorridente, sforzandosi di credere
che niente di male potrà accadere, anche se fin dall’inizio è evidente che nasconda
qualcosa, che ha percepito un presagio inquietante; l’uomo non si rende conto
che l’indifferenza non è capace di scacciare il pericolo o le difficoltà o ciò
che gli è superiore, come il destino.
Ne “I
topi”, la famiglia protagonista della vicenda finisce per diventare schiava di
giganteschi topi, che nel corso degli anni hanno infestato la casa di campagna,
poiché, per paura, non ha preso provvedimenti in tempo e ha cercato di
rimandare il problema.
In
“Qualcosa era successo” il protagonista, che viaggia su un treno ad alta
velocità diretto verso il nord, vede attraverso il finestrino, in tutte le
città che percorre, persone allarmate che gridano e scappano verso il sud, per
una causa sconosciuta ai passeggeri. Il protagonista è certo che qualcosa di
grave è accaduto e anche le altre persone sul treno lo pensano, nessuno però ha
il coraggio di prendere la parola, di intervenire e cercano di mascherare la
propria paura, temono il giudizio degli altri.
“Il
colombre” narra la storia di Stefano, figlio di un capitano di mare. Un giorno,
in barca con il padre, intravede un colombre, uno squalo misterioso che,
secondo la leggenda, sceglie una vittima e la insegue finché non è riuscito a
divorarla. Il padre allora tenta in tutti modi di allontanarlo dal mare ma
Stefano, diventato adulto, diventa marinaio, ossessionato dalla creatura; il
suo unico pensiero è quello di sfuggirgli, ma quando raggiunge la vecchiaia,
decide finalmente di affrontarlo: il mostro è in realtà una creatura buona, che
l’ha seguito per tutti quegli anni non con l’intento di divorarlo ma di
consegnarli un dono, la perla del mare, che dà fortuna, potenza e amore a chi
la possiede. Il protagonista alla fine si rende conto di aver rovinato la
propria esistenza, scappando per tutta la vita da un pericolo inesistente;
soltanto troppo tardi ha deciso di affrontare le proprie paure senza più
ignorarle e se si fosse comportato diversamente avrebbe potuto avere una vita
felice e fortunata, proprio ciò che donava la perla del colombre.
In
“Sette piani” e in “Una cosa che comincia per elle” emerge il tema della
malattia, la quale rappresenta il destino ineluttabile che coinvolge l’uomo
senza che questi abbia commesso alcuna colpa. Nel primo, il protagonista
Giuseppe Corte si ricovera spontaneamente in una clinica specializzata nella
cura della malattia da cui è affetto; i malati sono distribuiti a seconda della
gravità su sette piani e Corte viene posizionato al settimo poiché la sua
infezione è molto leggera. Purtroppo però, a causa di una serie di motivi
burocratici, il malato scende progressivamente fino ad arrivare al primo piano,
dove si trovano i moribondi: egli, che fini ad ora ha protestato e si è opposto
a questa forza illogica, si abbandona e si lascia coinvolgere dalla situazione
che, inspiegabilmente, lo porta alla morte. Sono presenti delle somiglianze con
“Il deserto dei Tartari”: la clinica, come la fortezza Bastiani, rappresenta
una barriera che separa l’uomo dal mondo reale e genera ossessione, la quale in
Drogo si manifesta come un forte attaccamento all’ambiente della fortezza,
mentre in Corte come un forte desiderio di ritornare alla vita di tutti i
giorni (arrivato al sesto piano: “Lo tormentava il pensiero che ormai ben
due barriere si frapponevano fra lui e il mondo della gente normale”;
arrivato al primo: “Sei piani, sei terribili muraglie, sia pure per un
errore formale, sovrastavano Giuseppe Corte con implacabile peso”).
In
“Una cosa che comincia per elle”, il mercante Cristoforo Schroeder è accusato
dal medico e dal sacerdote suo amico di aver contratto la lebbra; così viene
privato di ogni avere e gettato sulla strada allo scherno pubblico e obbligato
a suonare una campanella appesa al collo proprio come i lebbrosi. Anche qui la
malattia diventa un elemento che crea l’assurdo e impedisce la libera scelta;
in questo caso però la disgrazia non è soltanto provocata dalla fatalità ma
anche dalla cattiveria umana (quella del medico e del sacerdote).
Ne “I
sette messaggeri”, un principe, insieme ad alcuni compagni, parte alla ricerca
del confine del regno del padre; l’illusione che il viaggio si risolva in poche
settimane si rivela ben presto assurda, la meta si allontana sempre più e
diventa irraggiungibile, ma nonostante ciò il protagonista continua ad andare
avanti e trascorre tutta la vita in questa impresa inutile. Ritornano i temi
dell’attesa, del rimpianto, della chiusura (il confine del regno) e della
città, emblema di una vita facile e priva d’avventura; il protagonista non è
capace però di staccarsi del tutto dal luogo natio poiché, anche se procede
verso l’ignoto, spedisce ad ogni tappa del percorso i propri messaggeri verso
la città; con il progressivo aumento delle distanze, il principe, ormai
anziano, si rende conto che l’ultimo messaggero inviato ritornerà con la lettera
quando probabilmente sarà già morto.
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